Una delle caratteristiche fisiche dei vini a cui si rivela essenziale prestare attenzione è il cosiddetto intorbidimento del vino. Si tratta di alterazioni di origine chimica oppure microbica, le quali vanno a interessare sia le tipologie a bacca bianca che quelle a bacca rossa.
Un fenomeno che in realtà non sempre è piacevole al palato ma che può essere prevenuto attraverso accorgimenti particolari, spesso utilizzati dalle aziende del settore enologico ma non altrettanto dalle produzioni più artigianali come quelle contadine.
In questo articolo ci soffermiamo su una questione che per un intenditore del vino è di primaria importanza: la torbidità del vino. Non sempre è indice di cattiva qualità, anzi.
Torbidità del vino: l’influenza delle fecce
La fase della fermentazione è tra le più delicate. È quando finisce che la bevanda tende di suo a pulirsi, potremmo dire, portando lentamente a sedimentazione sul fondo quei particolari residui noti come fecce.
Quest’ultime vedono al loro interno la presenza soprattutto di lieviti esausti, le cui pareti sono soggette a processi di autolisi e portano al rilascio delle sostanze che consentono nuove note aromatiche nel vino nonché dei colloidi: fondamentali per la consistenza e la grassezza.
La maggior parte dei produttori artigianali tende a effettuare la sospensione delle fecce, in maniera tale da preservare la stabilità e la qualità nel vino. Un processo che però può portare a una più o meno accentuata torbidità, contrariamente a quanto avviene in pratiche quali filtrazione e chiarifica.
Come abbiamo accennato, nei vini di qualità difficilmente è presente una condizione di intorbidimento talmente marcata da risultare fastidiosa, più frequente invece in quelli prodotti in maniera casalinga o presso un contadino.
In questo caso la chiarificazione avviene in maniera unicamente spontanea e i risultati non sono certi. Può in ogni caso essere rafforzata attraverso la decantazione: la bevanda viene sottoposta a processi di raffreddamento i quali aiutano le fecce nella precipitazione.
Ci sono invece aziende che preferiscono non filtrare i vini e procedere, piuttosto, nei vini che escono l’anno dopo che è stata fatta la vendemmia, lasciandoli decantare prima di effettuare l’imbottigliamento.
Una tecnica più naturale, sostanzialmente, che però non si adatta a tutte le tipologie e qualità enologiche.
Pertanto, nei vini che richiedono una maturazione più lunga in cantina le fecce possono venire rimesse in sospensione attraverso un’altro procedimento attualmente piuttosto diffuso: il battonage.
In questo caso viene effettuato il rimescolamento lasciando che le fecce raggiungano la superficie. Così facendo non si rinuncia alle qualità da esse sprigionate ma si prevengono situazioni spiacevoli, su tutte proprio un intorpidimento accentuato.
Torbidità del vino: è sempre negativa?
Non sempre le particelle che si trovano sospese nel vino, portando alla condizione di torbidità, sono sinonimo di cattiva qualità.
Se si depositano sul fondo e non ostacolano la degustazione riescono a preservare elementi aromatici preziosi, tipici di una certa qualità d’uva e persino distintivi della storia di una cantina.
La parola “dipende”, applicabile a diversi ambiti della vita, vale particolarmente in enologia. Ad esempio, se sul fondo di una bottiglia a bacca bianca sono presenti dei cristalli non c’è niente che non va. Si tratta di precipitazioni di tartrati, piuttosto innocue.
Se invece all’interno di un vino rosso piuttosto invecchiato notate una parte polverosa anche in questo caso nulla di strano. Abbiamo a che fare con tannini e antociani, sostanze coloranti che non risultano solubili per motivi legati allo stesso processo di invecchiamento.
Intorbidimento del vino non significa quindi di per sé cattiva qualità: come abbiamo visto diverse cantine specializzate adottano tecniche in grado di preservare le fecce senza compromettere il gusto. A prova di intenditore.
Viceversa, è bene diffidare di quei vini troppo puliti, quasi finti, ai quali i produttori dedicano particolari accortezze affinché non vi siano imperfezioni di alcun tipo, tanto meno nella consistenza. In essi ogni residuo di tipo microbico viene annullato, diventa inesistente.
Ciò significa che spesso è come se mancasse qualcosa al sapore. Il vino denota un aspetto più limpido e puro ma anche meno aromi, meno note floreali e fruttate. Il deposito è segno di un vino ricco e vivace, in particolare nel caso delle tipologie che hanno propensione all’invecchiamento.
Alcuni accorgimenti
Abbiamo visto come la presenza delle fecce non vada demonizzata quanto, piuttosto, saputa trattare a seconda del vino, delle sue caratteristiche e del risultato che si desidera ottenere. Quella enologica è del resto una tradizione ma anche un’arte, fatta di conoscenza, ricerca, passione, ingegno.
Durante la degustazione appare necessario non tanto eliminare i depositi quanto piuttosto evitare che emergano in superficie. È fondamentale che la loro presenza risulti innocua, senza spostarsi dal fondo.
Ecco alcuni accorgimenti utili da approntare durante la fase di degustazione, validi per tutte le bottiglie:
- Evitare di stappare la bottiglia con forza. Gli scossoni potrebbero alterare la composizione interna e la struttura del vino portando le fecce sgradevolmente in superficie.
- Spesso le bottiglie sono conservate in orizzontale. Quando trovano il loro verso naturale, quello verticale, necessitano di un po’ di tempo per abituarsi, un po’ come avviene per l’essere umano dopo una notte di sonno. Meglio quindi aspettare un po’ prima di effettuare la consumazione e prepararsi per tempo. Il vino non ama la fretta: ha i suoi tempi.
- Lasciare decantare il vino una volta stappato. Se non si ha un decanter, basta lasciare il tappo aperto. Ogni bottiglia è diversa e possono volerci da pochi minuti a ben di più. Lo ripetiamo volentieri: la degustazione nasce come piacevole e goduriosa. Senza fretta. È una forma d’amore.
Un’ultima considerazione
Infine, una nota speciale sulla conservazione del vino, per la quale appare da preferire una temperatura costante e un posizionamento lontano da fonti di calore come la luce del sole. L’ideale è, se si ha una cantina, mantenere l’habitat interno intorno ai 12°C.
Anche perché i tartrati, i tannini e le altre sostanze coloranti al di sotto dei 10°C tendono a patire il freddo, non permettendo la maturazione della bevanda: un discorso che interessa soprattutto le bottiglie che migliorano invecchiando.
Allo stesso tempo, i vini non sono propensi a rapportarsi con il caldo, una condizione che tende a comportare un ingiallimento e risveglia la parte batterica, innescando fermentazioni non desiderate.
Per concludere, la questione dell’intorpidimento del vino è trasversale e porta a riflettere su molteplici aspetti. È affascinante e mette in viaggio, o in cantina potremmo dire, verso nuove domande e questioni da affrontare.