A dispetto della sua discrezione e del suo utilizzo circoscritto, il cavatappi è uno degli strumenti più diffusi e comuni nelle case di tutto il mondo.
Nel corso del tempo, il tirebouchon, altro nome del cavatappi, ha assunto forme e funzioni differenti fino a diventare, in alcuni casi, un vero e proprio pezzo da collezione di design. Per questo motivo, esistono moltissimi tipi di cavatappi, ognuno con le proprie utilità specifiche e caratteristiche.
Storia del cavatappi
La storia di uno degli strumenti casalinghi più diffusi al mondo ha origini lontane: fonti del Quindicesimo secolo riportano di un attrezzo incredibilmente simile al cavatappi caratterizzato dalla forma a spirale, impiegato in campo bellico per recuperare le palle di cannone incastrate nelle bocche e i residui di stoppa utilizzati per pulire le armi da fuoco; non solo: una tavola liturgica risalente al 1450 riporta la raffigurazione di una suora intenta a spillare vino da una botte con uno strumento dalla verga attorcigliata, in un impiego estremamente simile a quello odierno.
Dagli impieghi e le forme più disparate, nel corso dei secoli, il cavatappi è sempre stato un alleato ufficioso e fedele dell’uomo; la svolta arriva nel Diciottesimo secolo: l’Inghilterra, grande potenza commerciale e marittima, comincia a esportare bottiglie in vetro nero, in grado di garantire non solo una capienza omogenea, ma un trasporto più agevole rispetto alle botti. Inizialmente, le bottiglie venivano sigillate con pezzi di legno foderati di canapa, che permettevano una conservazione ottimale di pochissimi giorni; in seguito si passò al tappo in sughero, più difficile da estrarre, che permetteva di conservare più a lungo le qualità del vino.
Il commercio del vino in bottiglie sigillate col sughero si diffuse con una tale rapidità che sul finire del Secolo, nel 1795 a voler essere precisi, il reverendo inglese Samuel Henshall depositò il primo brevetto per il cavaturaccioli, destinato a evolversi nel moderno cavatappi. Cavalcando l’onda della Rivoluzione Industriale, l’approvazione del brevetto di Henshall segnò il decisivo passaggio dalla produzione artigianale a quella in serie. Prima di allora, solo le classi sociali più agiate potevano avere accesso a questo genere di strumento, commissionandone la realizzazione ad artigiani specializzati e collezionando pezzi in oro e metalli preziosi dal valore inestimabile.
Tipologie di cavatappi
Sebbene dalla sua proto-invenzione a uso bellico a oggi il tirebouchon abbia assunto infinite forme – dalla più semplice e pratica alla più elaborata e di design -, esistono quattro categorie assolute di cavatappi in cui si collocano tutti quelli in produzione e in vendita: a T, il classico, il professionale e il cavatappi da parete.
Il cavatappi a T è, a prima vista, certamente quello dall’aspetto più rudimentale tra le categorie proposte: nella sua forma più antica e comune la spirale, detta anche verme, è semplicemente fissata a un manico in legno duro. È uno strumento che richiede un notevole sforzo fisico che coinvolge tutti i muscoli che vanno dalla mano alla schiena, passando naturalmente per la spalla; inoltre, se il tappo non si lascia estrarre facilmente è necessario bloccare la bottiglia in mezzo alle gambe, sottoponendo a stress anche le ginocchia. Per questi motivi, il tirebouchon a T è attualmente poco diffuso, specialmente tra sommelier e professionisti della degustazione che ritengono poco elegante stringere una bottiglia tra le ginocchia per aprirla. In realtà, non bisogna lasciarsi ingannare dall’aspetto grezzo di questo genere di cavatappi: il manico può essere realizzato con legno pregiato come l’ebano, ma anche in argento, osso e avorio, rendendolo un piccolo gioiello da collezione. Uno strumento sicuramente più adatto ai collezionisti che ai consumatori abituali, che tuttavia mantiene le sue caratteristiche di affidabilità.
Decisamente più pratico e meno faticoso da usare, il cavatappi classico è estremamente comune: chiunque da bambino ha avuto modo di relazionarsi questo strumento, la cui forma ricorda una ballerina, in casa propria o dei nonni. La diffusione di questa tipologia di cavatappi si deve all’italo-americano Dominick Rosati, il quale lo brevettò nel 1930 proprio per risolvere le difficoltà che l’uso del cavatappi a T comportava nei meno esperti. Il funzionamento del Classico è estremamente semplice: la vite va inserita appena nel tappo e avvitata con la rotazione dell’anello; via via che la vite affonda nel tappo, i bracci del cavatappi salgono e, una volta raggiunta l’altezza massima, non resta che esercitare su di essi una leggera pressione per riportarli in basso e il tappo scivola facilmente fuori dal collo.
Diffusissimo nelle case, questo tipo di tirebouchon non è particolarmente apprezzato dagli esperti del settore, che lo consigliano per vini giovani sia rossi che bianchi e poco pregiati, prediligendo per i grandi vini il professionale, che riduce sensibilmente il rischio di danneggiare il tappo e, di conseguenza, il vino. In ultimo, il costo contenuto spesso si rivela sinonimo di scarsa qualità dei materiali e il cavatappi classico tende ad avere una vita relativamente breve.
Il cavatappi professionale è – naturalmente – il più usato da sommelier, enologi ed esperti del settore. Dal punto di vista estetico non presenta particolari variazioni da un modello all’altro, ma la sua struttura è certamente più articolata di quelli a T e dei Classici. Le componenti fondamentali sono l’impugnatura, lunga circa un palmo di mano, che può essere in acciaio, in legno o in plastica; la spirale è molto resistente e non è soggetta a piegature e usura; la lama, dritta e di circa tre centimetri, rimane invisibile grazie al pratico meccanismo a scomparsa e serve a praticare un taglio preciso nella parte più alta del collo della bottiglia; la leva, a doppio appoggio, permette di far scivolare agevolmente il tappo fuori dal collo della bottiglia con un gesto elegante, che consente di evitare ingenti sforzi fisici.
Sobrio e maneggevole nelle sue linee essenziali, questo tipo di cavatappi è tascabile e molto leggero proprio per consentire un’apertura garbata, ma d’effetto. Inoltre ha un’ apribottiglia integrato.
Il modello da parete è entrato da poco di diritto nelle macro-categorie dei cavatappi, tanto che alcuni esperti non si sentono ancora pronti per annoverarlo tra queste. Consigliato per l’uso prettamente domestico, permette un’estrazione del tappo rapida e senza sforzi fisici se non una leggera pressione. Per via della necessità di essere fissato alla parete – come anche il nome suggerisce – questo particolare tirebouchon può diventare un vero e proprio oggetto di design e interessante complemento d’arredo per le abitazioni degli appassionati.
Per gli appassionati che desiderino approfondire la conoscenza sul cavatappi e la sua interessante Storia, a Barolo in Piemonte sorge il Museo dei Cavatappi, il più famoso d’Italia. Il Museo nasce nel 2006 da un’idea del collezionista Paolo Annoni, un farmacista torinese appassionato di tirebouchon ed espone una collezione permanente di oltre cinquecento esemplari di cavatappi di ogni forma e fattura provenienti da tutto il mondo dalla metà del Seicento a oggi. Dai più preziosi, realizzati con materiali di grande pregio sul finire del Settecento, a quelli più contemporanei e creativi, passando per i cavatappi pubblicitari, che a cavallo tra Diciannovesimo e Ventesimo secolo cominciarono a spopolare come importante strumento pubblicitario: comunemente regalati da produttori e fornitori, il nome o il logo della ditta impressi sul manico rimanevano ben impressi nei clienti. Il Museo dei cavatappi, che sorge in una splendida cantina antica nei pressi del Castello Comunale, è una meta quasi obbligata per gli appassionati di vino e di cavatappi, ulteriormente impreziosita dalla magica cornice delle colline di Barolo.
E se il cavatappi non c’è?
Sebbene sia uno strumento tanto diffuso da passare quasi inosservato nelle nostre case, può accadere che il cavatappi vada perduto proprio nei momenti meno opportuni, quindi, è possibile una bottiglia di vino senza cavatappi di nessun tipo? Vediamo quattro metodi infallibili – e senza dubbio un po’ gretti – per stappare una bottiglia senza usare il tirebouchon, ma ricordando di acquistarne uno il prima possibile.
Il cosiddetto metodo della scarpa consiste nell’infilare la bottiglia nella scarpa in posizione orizzontale, facendo attenzione che il fondo rimanga a contatto con il tacco. A questo punto sarà sufficiente sbattere il tacco della scarpa contro una superficie verticale – come una parete o, se all’aperto, un albero – finché il tappo non sarà fuoriuscito abbastanza da poter essere estratto con le mani. È una tecnica che richiede un po’ di sforzo fisico e il vino potrebbe risentire un po’ dei colpi.
Particolarmente consigliato in contesti casalinghi e di lavoro edile, per stappare la bottiglia sarà sufficiente inserire con un colpetto delicato un chiodo piuttosto lungo nel tappo per poi estrarlo con la penna di un martello americano.
Per chi ha sempre sognato di vestire i panni di Angus MacGyver, la tecnica dell’accoltellamento è l’ideale in una situazione di emergenza e consiste nell’infilare delicatamente la punta del coltello nel tappo, andando poi a ruotare la bottiglia per estrarre il tappo. Attenzione a non lasciarsi prendere la mano ed esercitare troppa pressione: il tappo potrebbe rompersi.
Per l’ultimo metodo di apertura di una bottiglia di vino senza cavatappi è necessario avere a portata di mano una comunissima chiave: questa va infilata nel tappo creando un angolo di 45 gradi – in obliquo – e fatta girare molto lentamente in senso orario esercitando una leggera trazione finché non sarà fuoriuscito abbastanza sughero da sfilare il tappo con le mani.
I metodi presentati sono indubbiamente rudimentali e molto poco eleganti, è sconsigliato utilizzarli nei riguardi di bottiglie pregiate e in presenza di sommelier e degustatori professionisti, che potrebbero risentire del maltrattamento di vino e bottiglia.
In ultimo, è bene parlare di una delle situazioni peggiori in cui può incorrere un neofita del vino e dell’arte di stappare le bottiglie: la rottura del tappo. Prima di addentrarsi nelle soluzioni di emergenza, è bene capire quale sia la causa della rottura; le più comuni sono tre: la punta della spirale non è arrivata in fondo al tappo; il tappo è molto vecchio, quindi si è asciugato completamente perdendo di elasticità; il cavatappi è stato inserito in un modo scorretto.
Quando ci si trova in situazioni simili, la prima cosa da fare è individuare il punto di rottura del tappo: se è rimasto bloccato nel collo e la rottura riguarda la parte superiore, si può provare a estrarlo delicatamente con il cavatappi, facendo attenzione a non danneggiarlo ulteriormente, se invece il danno riguarda la parte inferiore del tappo ed è impossibile da estrarre, questo finirà irrimediabilmente nel vino; per rimediare a questa spiacevole circostanza, sarà sufficiente travasare il vino in un decanter filtrandolo con un colino o con una garza per eliminare qualunque residuo.