Oggi non si conosce soltanto il ciclo biologico della vite, ma anche il suo genoma, ovvero il codice genetico.
Di cosa si tratta esattamente? In biologia, per genoma di un organismo si intende la totalità del materiale genetico di cui è costituito e che comprende le informazioni essenziali e indispensabili affinché possa svilupparsi e funzionare.
Tale materiale risulta strutturato secondo catene di DNA piuttosto lunghe e complesse, aventi come forma una doppia elica, in cui si trovano i cromosomi.
Gli elementi che ne stanno alla base sono i nucleotidi, delle molecole dalle dimensioni importanti che al loro interno possono avere 4 basi azotate differenti. Le informazioni di stampo ereditario dipendono dalla loro combinazione.
Quanto concerne la genomica della vite ha permesso l’individuazione di quello che potremmo definire come l’alfabeto esistenziale della specie. Ogni catena di DNA presenta al suo interno un numero intorno ai 500 milioni di nucleotidi, suddivisi secondo 19 coppie di cromosomi.
Parliamo quindi di un genoma piuttosto articolato ma decisamente meno complesso rispetto a quello dell’uomo, il quale denota un numero di nucleotidi intorno ai 3 miliardi.
In questo articolo vi raccontiamo qualcosa di più sulle scoperte che hanno interessato il completo sequenziamento del genoma della vite, realizzato da diverse equipe di lavoro suddivise soprattutto in due Paesi: Italia e Francia.
Un progetto vincente: gli studi sulla genomica della vite del Consorzio pubblico italo-francese
La decodificazione del genoma della vite è stata portata avanti con successo da parte di alcuni ricercatori europei, per la precisione italiani e francesi.
Un progetto di ampio respiro e che ha visto il coinvolgimento di scienziati altamente qualificati: ambizioso, innovativo e intrigante. A darne comunicazione in via ufficiale è stata in primo luogo la Commissione Europea, nonché diverse riviste e organismi di rilievo internazionale.
Ma perché proprio la vite? In un articolo apparso sulla prestigiosa rivista Nature gli scienziati del Consorzio pubblico italo-francese hanno motivato così tale preferenza per la Vitis vinifera, questo il nome botanico della pianta.
Il motivo principale risiede infatti nell’«importante posto che occupa nell’eredità culturale dell’umanità a partire dal Neolitico». La vite oggetto di esame è stata prelevata da vitigni di varietà Pinot nero.
Cosa è emerso dallo studio
Quali sono gli sviluppi che hanno portato con sé le ricerche sulla genomica della vite? Vediamo alcuni aspetti interessanti emersi dai risultati:
- La vite presenta una percentuale superiore per oltre il doppio per quanto riguarda i geni che servono alla produzione di aromi ed oli essenziali: questo ovviamente se equiparata con altre piante che vengono adoperate per il medesimo scopo e di cui è stata conseguita la decodificazione genomica.
- Il genoma della vite ha evidenziato un totale intorno ai 480 milioni di “lettere”.
- I geni deputati alla codificazione delle proteine sono in numero decisamente ridotto, ovvero circa 30.000.
- Il numero di geni che presentano elementi di affinità con le proprietà del vino è elevato. Per fare un esempio, la vite ha 89 geni funzionali alla produzione di oli essenziali, aromi e resine, responsabili della determinazione delle proprietà del vino. Le altre piante confrontabili sotto questo punto di vista hanno un numero di geni che non supera la metà, per l’esattezza tra i 30 e i 40.
- Il numero di geni elevato rispetto all’aroma del vino mostra un diretto collegamento con il genoma. Un aspetto che avvalora la tesi per cui una moderata quantità della bevanda presenta benefici importanti e degni di nota per la salute. A confermare tale fattore è anche la rilevazione di 43 geni deputati alla sintesi di resveratrolo.
Le applicazioni degli studi sul genoma della vite
Non tutte le specie di Vitis Vinifera sono uguali. Può sembrare una considerazione banale e persino ovvia, ma non se la si collega al genoma.
Parliamo di una pianta che si rivela alquanto soggetta all’azione di diversi agenti patogeni. Tra i più noti troviamo il morbo di Pierce e soprattutto l’oidio: un fungo in grado di attaccare qualsiasi tessuto vegetale, dalle foglie, alle tralci fino alle infiorescenze.
È particolarmente insidioso perché, diversamente dalla peronospora, presenta condizioni più favorevoli in termini di diffusione, questo perché non ha bisogno di nemmeno un velo d’acqua.
Il genoma della vite evidenzia, tuttavia, che vi sono specie in grado di resistere a questi particolari e nocivi agenti patogeni: un fattore che fa emergere quanto le sofisticate ricerche di cui abbiamo parlato presentino prospettive concrete di applicazione per gli agricoltori.
Ciò avviene secondo due livelli di base: da un lato una selezione più attenta delle cultivar che appaiono maggiormente resistenti agli agenti patogeni; dall’altro la possibilità di investire su strumenti in grado di effettuare un trasferimento dei geni più validi alla pianta. Qualcosa che potrà avvenire tramite l’innesto o in alternativa il trasferimento di geni.
L’adozione di tecniche così innovative è auspicabile possa avere una conseguenza importante per quanti sono attivi nella realizzazione del vino: una riduzione considerevole nell’uso dei pesticidi.
Ciò porterebbe a un incremento della salubrità della bevanda, a una qualità media superiore e, non meno importante, a una riduzione dei costi, in termini economici come per l’ambiente. Un processo virtuoso, nell’ottica di un’agricoltura con le fasi di produzione che diventano potenzialmente più innovativa e sostenibile.
Conclusioni
Gli studi sul genoma della vite sono stati a dir poco pionieristici, essendo la prima pianta da frutto e la quarta specie vegetale su cui sono stati realizzati. Prima della Vitis vinifera sono stati decodificati a livello genomico soltanto Arabidopsis, pioppo e riso.
I risultati del progetto sono stati resi noti e condivisi in maniera pubblica con il resto della comunità scientifica. Hanno richiesto un tempo di elaborazione piuttosto lungo e importante.
La data di inizio risale infatti al 2005, complice un accordo di collaborazione tra i Ministeri dell’Agricoltura di Francia e Italia.
Una partnership positiva ma che non stupisce: si tratta infatti dei maggiori produttori di vino su scala europea, nonché delle aree del Vecchio Continente in cui più viene consumata la bevanda. Un approccio che si rivela lungimirante e favorevole tanto alle aziende del settore quanto ai consumatori.